Dedicato alle donne

Dedicato alle donne

Settembre 2, 2020 0 Di .

DEDICATO ALLE “MIE” DONNE NEL GIORNO DELLA FESTA DELLA MAMMA
Amo le donne, le amo per la loro sensibilità, per la loro dedizione, per la loro perspicacia, per la
loro intuizione, per la loro combattività, per la loro territorialità e, per essere sincero, per la loro
bellezza.
Ogni donna è bella. Spero non lo abbia detto qualche poeta prima di me, a mia insaputa,
preferisco essere originale. La vita di un uomo ruota intorno ad una donna come la terra intorno al sole.
La donna è come la luce nel processo di fotosintesi, senza di lei non c’è vita. Per quanto forte e
imponente ancora non esiste un uomo che possa partorire. Il meglio della vita di un uomo è dedicato alla
felicità di una o più donne.
Che sia nonna, mamma, zia, moglie, figlia, cugina, nipote o una semplice amica, la donna è il
fulcro della leva umana.
Il cosmo della mia tragedia è popolato per il 70% da donne.
All’inizio è nato il comitato “Una Chance per Chico”, formato dagli amici più cari della mia
gioventù. Ne è seguito il primo gruppo su FB dietro iniziativa di Alberto e l’energia di Andrea che
rimangono bastioni di questa fortezza sociale.
Di lì come un tornado in un villaggio di paglia siete subentrate voi donne. Nuovi gruppi, alle
iniziative spontanee, migliaia di interventi, innumerevoli lettere e messaggi di supporto. Mi sono sentito
come il cucciolo di una leonessa o meglio, di un gruppo di leonesse.
Non voglio, né posso, fare nomi, perché l’idea di dimenticare di nominare anche solo una di voi
mi romperebbe il cuore.
Non è facile gestire un gruppo di migliaia di persone. Ditte importanti con centinaia di
impiegati, lautamente retribuiti, ce la fanno a stento.
Eppure voi donne vi siete trasformate in scudo, vi siete prese il posto dei soldati caduti al mio
fianco. Autonomamente vi siete distribuite incarichi e oneri. Spesso dimenticando i vostri stessi
problemi di salute, economici o affettivi che siano. Nonostante i travagli della vostra vita quotidiana
comunque avete trovato tempo da dedicare alla mia causa. Tutto ciò mi riempie il cuore e a volte mi fa
venire le lacrime agli occhi. Lacrime colme di felicità, non di tristezza! Spesso mi domando che cosa ho
fatto per meritarmi tanto affetto, tanta solidarietà. Inevitabile, dentro di me, è un’altalena di sentimenti:
dalla rabbia per ciò che ho subito e per tutto ciò che mi è stato tolto, alla gioia d’aver scoperto tante
sostenitrici che, anche senza avermi conosciuto, hanno deciso di dedicarmi una piccola parte del loro
cuore.
Voglio darvi un breve aggiornamento su come prosegue la vita qui dentro. Cinque parole:
SEMPRE SUL CHI VA LA’! Non si può mai abbassare la guardia.
A proposito di guardie, quelle decenti le posso contare sulle dita di una mano! La maggior parte
degli “aguzzini” trovano soddisfazione trasferendo le loro miserie quotidiane su di noi. Il loro lavoro
dovrebbe consistere nel salvaguardare la nostra incolumità e nel prevenire e bloccare eventuali fughe.
Sono mosche bianche coloro che hanno a cuore la riabilitazione dei reclusi.
Dipendiamo dai “moods” (umori) delle loro giornate. Non hanno potuto comperarsi l’orologio di
marca? Quindi, per ripicca, il giorno dopo scelgono uno a caso e gli fanno pulire la strada con lo
spazzolino da denti. Pochi giorni fa un capitano che lavora il turno dalle 16 a mezzanotte (un ex
giocatore di football del team Oakland Raiders, California), ha punito un detenuto per aver parlato nella
mensa (aveva detto alla guardia che era finito il sale…). La punizione? Gli ha fatto gettare il vassoio, con
esclusione del cucchiaio e bicchiere di plastica e poi lo ha obbligato a raccogliere l’acqua sporca nella
pozzanghera antistante la mensa usando il cucchiaio, per poi trasferire il contenuto nel bicchiere che,
una volta pieno, veniva svuotato.
“I’ll tell you when to stop and if you look at me again with that face I’ll spit in your mouth!” che
tradotto: ”Te lo dico io quando smettere e se mi guardi con quell’espressione ancora una volta ti sputo in
bocca!”
Grande uomo, grande esempio come leader! Probabilmente tutte le botte ricevute alla testa 20 o
30 anni fa, gli hanno spappolato una parte del cervello. E poi grida sempre, anche quando non ne esiste
motivo. Questo è solo il racconto di un piccolo aneddoto di vita quotidiana e non lo dedico certo alle
mie fan!
Dall’ultima lettera che vi ho scritto ci sono stati vari cambi di cella. Tutto fa parte del processo
“rendiamo loro la vita impossibile creando tanto sconforto ed ostacolando il processo di adattamento”.
Qui con me c’è anche un detenuto di 86 anni e anche lui riceve lo stesso trattamento, una vergogna!
Eppure non possiamo fare nulla (tanto meno voi) perché per coloro che si ribellanop, anche solo
vociferando il loro malcontento, la rappresaglia è implacabile.
Io cerco di viaggiare sotto il radar. Purtroppo sono alto e mi ricordo una frase di mio padre: “Gli
alberi più alti sono quelli che vengono tagliati per primi”.
Se comunque mi venisse proposto cucchiaio e bicchiere vicino alla pozzanghera, sappiate che
mi troverete nel pozzo! Va bene eseguire gli ordini normali, ma accettare umiliazioni degradanti non è
nel mio stile. La loro punizione, dopotutto, è autoinflitta. Solo una persona miseramente infelice può
comportarsi così.
Il rimedio più diffuso è la conversione alla religione, per la maggior parte cristiana. Un po’ come
al tempo di Nerone, senza leoni. E’ il mezzo prescelto dai detenuti per cercare di riuscire a mantenere un
minimo di dignità. Nella disperazione, quando si è perso tutto e più in basso di così non si può
scendere… si è obbligati a guardare verso l’alto.
Anche qui ci sono i sinceri e gli impostori. Quando entri in un gruppo di preghiera troverai
sempre un’anima buona che ti darà qualcosa da mangiare, del dentifricio, del sapone, del deodorante.
Qualcuno invece ne approfitterà sempre.
Il rapporto con la religione è come quello con una fidanzata. Alti e bassi e tanti monologhi
invece di battibecchi. Molti ricadono e tornano ad essere come, e peggio di prima.
Ho avuto vari compagni di cella, più o meno decenti. Comunque devi condividere la cella/cuccia
senza mancare o farsi mancare di rispetto! La sentenza media dei miei compagni di cella è il doppio
ergastolo (“la doppietta”). Quello con cui ho vissuto più a lungo ed il migliore sotto ogni aspetto dopo
“C” è Daniel Arroyo, detto Tito (da “Danielito”), quarantenne portoricano, doppietta, undici anni di
prigione, otto anni in questo albergo.
Un passato tremendo e da quattro anni conversione totale. Da quel giorno cioè in cui decise di
togliersi la vita, perché schifato di se stesso. Ma una molla è scattata dentro il suo cuore e ha cominciato
a piangere. Solo due giorni dopo, con un peso in meno sulla coscienza ed una nuova disposizione: “La
mia vita l’ho bruciata, almeno posso tentare di salvare qualcun altro!”
Ogni mattina, se la ricreazione è aperta, va ad ascoltare un gruppo di preghiera. Ogni pomeriggio
predica la parola della Bibbia a un suo gruppo di fedeli, circa venti persone, per la maggior parte
centroamericani.
Nel mio piccolo lo aiuto, un piccolo contributo, qualche minestra liofilizzata, deodorante e
sapone. Non è molto, però quel poco lo faccio con il cuore, non per imposizione. L’ho aiutato a scegliere
il nome per il gruppo, visto che si raccolgono sotto l’unico albero dell’area di ricreazione sportiva:
“Ministry under the tree” ovvero ministero sotto l’albero (che fantasia però?!).
Lo scorso novembre mi è stato chiesto di lavorare per un nuovo programma di riabilitazione
chiamato “Re-entry” (rientrata) e da allora mi ci sono dedicato a capofitto, anche grazie all’aiuto di
Roberto Fodde (che ha fatto una donazione essenziale per la sopravvivenza del programma). Credo
nell’utilità di preparare i detenuti, con pochi anni da scontare, al loro rientro in società. Alcuni di loro,
reclusi da trent’anni, appartengono alla preistoria dei Gadgets Eleticon. Itengo lezioni a quattro classi,
strutturandole e coordinandole. Insegno a leggere e scrivere, inglese, matematica e cultura generale.
Questo mio progetto è stato approvato dall’amministrazione. Si tratta di dare un’infarinatura di
geografia, storia, scienza, fisica, ecc. Cosicché una volta libero, l’ex detenuto sarà in grado di rispondere
alle semplici ma inevitabili domande dei figli e nipoti.
“Perché il cielo è blu?”, “Perché la terra è rotonda?”, “Perché c’è pioggia, vento, neve?” o “Quanti sono
i Continenti?” (la maggior parte dei centroamericani pensa siano cinque!). Domande che al momento
non troverebbero risposta!
Da circa due settimane sono stato trasferito nuovamente nel dormitorio Alfa (ricordate? Lo
stesso di quando ero arrivato circa due anni fa). Hanno trasformato l’intero edificio in “Re-entry
dormitory” (certo che anche loro in quanto a fantasia per i nomi…!). Siamo nell’area sud, quella di
minima custodia. Quasi tutti i residenti sono Acca 1 e 2. Io sono una delle poche eccezioni, pur essendo
Acca 4 (massima custodia). Ho ricevuto un permesso speciale per risiedere in questa zona.
Ironico il fatto che, vedendomi da questo lato della recinzione, molti degli ex colleghi della zona
nord sono convinti che presto sarò libero! Speriamo che questa loro convinzione serva d’auspicio!
Come vi avevo spiegato tempo addietro, in questo dormitorio ci sono pro e contro.
Non siamo chiusi in una cuccia senza ventilazione dodici ore al giorno. Abbiamo le finestre
(ovviamente con sbarre) che ci permettono di vedere il mondo esterno limitrofo senza avere il
coprifuoco “dell’oscurità”. Siamo vicini alla mensa per la colazione. Alle cinque di mattina è bello
vedere le stelle e la luna! (queste ve le dedico!). Per lo stesso motivo vediamo tramontare il sole alla
sera. Anche se d’estate, con il tramonto dopo le 20, il problema è inesistente. Al massimo alle 19 viene
servito l’intero “compound” (per tutti i detenuti, sia sud che nord).
Gli svantaggi sono i gabinetti e docce comuni. Il problema dello stupro rimane uno dei cancri
principali delle prigioni americane. E’ per questo che devi essere sempre attento e in forma fisica. Se
qualche osso duole o qualche legamento è fuori uso, non farlo sapere!
E’ come essere all’interno di una caserma militare.
La notte, se uno russa o ha un attacco di flatulenza (non voglio usare la parola scorreggia…) lo
sente l’intera camerata. Le risse non si limitano a due persone che risolvono il problema nella cuccia di
nascosto dal controllo delle guardie come nel lato nord. Qui, di solito degenerano, subentrano gli amici
degli amici; non è raro che coinvolgano una dozzina di aspiranti “benvenuti” (Nino, per coloro con
meno di trentanni!). Lentamente mi sto riadattando, però non voglio farmi troppe illusioni perché si
tratta di un permesso temporaneo. E, se il programma fallisce o la carrozza si trasforma in zucca un’altra
volta… quindi cauto entusiasmo!
Sono in un letto a castello e sopra di me c’è un cubano di nome Santos (accertato, non è di
origine brasiliana!) che finisce di scontare la condanna l’anno prossimo. I cubani non subiscono la
deportazione (per via di Castro…). Purtroppo gli italiani non possono avere le stesse agevolazioni
prendendo come pretesto Berlusconi… Mi hanno detto che il mio ex primo ministro ha un grande senso
dell’umorismo. Speriamo che sia così altrimenti fra tre secoli sarò ancora qui a scrivervi!!! Santos,
dicevo, conosce soltanto duecento parole d’inglese e gliele ho insegnate tutte io. So che non sembra una
grande impresa però non sa leggere e scrivere neppure nella sua lingua madre!
Gli “studenti” detenuti devono obbligatoriamente partecipare ad un minimo di scuola. E’ meglio
per loro scegliere un paio di lezioni poco impegnative perché l’apprendimento non è il loro target.
Altrimenti vengono assegnate d’obbligo. Normalmente tutti “appartengono” ad un classificatore
indipendentemente dall’ultimo numero della nostra scheda di identificazione. Il mio è il 5, quindi
appartengo al gruppo #5. Ci sono solo sette classificatori/ici perché alcuni controllano due gruppi.
Con la formazione di questo nuovo dormitorio è stato creato un nuovo gruppo: il numero 9.
La mia precedente classificatrice adesso è anche responsabile di questo nuovo gruppo. Gestisce
da sola oltre cinquecento detenuti e le loro pratiche burocratiche: visite, richieste, problemi, ecc.
Un’enorme mole di lavoro! E’ partita dalla gavetta come guardia quasi tre decadi fa. Questa lettera è
dedicata alle “mie” donne, quindi anche a lei! Non è una donna facile (comprensibile considerando
l’ambiente lavorativo) ed è abituata a comandare, a dare ordini a tutti, compresi i suoi superiori. Ha tre
regole fondamentali: 1) Ha sempre ragione; 2) Non ha mai torto; 3) Fare riferimento alle prime due.
Nero su bianco. Queste regole sono appese sul muro dello stanzino che usiamo per preparare le lezioni.
Mai dimenticarsene. I trasgressori vengono eliminati come Kleenex (trasferiti ad altri lavori più umili,
s’intende!…).
Lavorando nel programma, giorno dopo giorno, senza riposo, ho contribuito con consigli, alla
strutturazione delle classi e alla stesura dei curriculum per le lezioni, raggiungendo a poco a poco una
certa autonomia e maggiore responsabilità, evitando conflitti con le tre regole preposte.
Dopo il trasloco di oltre cento detenuti, era necessario un discorso di orientamento. Chi più
qualificato della nostra imperterrita “leader”?… Un discorso da duce ad un gruppo di criminali con la
“C” maiuscola. Io, seduto tra i partecipanti, mi sono reso contro del nervosismo e malcontento che stava
nascendo. Molti dei trasferiti avevano perso lavori privilegiati, anche al di là della recinzione, con
compenso economico (legale o meno che fosse). Troppa tensione nell’aria, fino al culmine quando la
“capa” ha detto loro: “So che molti di voi non vogliono essere parte di questo nuovo programma perché
comporta troppi cambiamenti. Per questi ho un messaggio preciso: “Se rifiutate vi metto nel pozzo e vi
tolgo tutto il “Gain Time” (giorni di riduzione della pena) accumulato!”.
Per alcuni significava cinque anni di ulteriore incarcerazione e la reazione fu immediata e
violenta! Nello stanzone c’erano solo lei e un’altra guardia, una ragazza di 25 anni. Di fronte a loro, un
gruppo di detenuti esagitati e io mi sono spaventato ricordando un episodio di qualche mese prima (ero
ancora nel dormitorio foxtrot, la lettera “F”) quando un apparentemente tranquillo sudamericano ha
accoltellato più volte un americano di colore, uccidendolo. Il tutto era nato dalla mancata precedenza
nell’uso della doccia. Tagli così profondi che nell’arco di pochi minuti, l’americano morì dissanguato.
Una vita bruciata per una banale lite per una pseudo doccia dove l’acqua cade a gocce.
Una situazione che mi ha fatto riflettere su quanto fragile sia la vita, specie qui dentro.
Da quel giorno, ogni mattina ringrazio il Signore per avermi fatto svegliare incolume, e ogni
notte prima di addormentarmi, mando un messaggio e un bacio virtuale ai miei figli, ai miei familiari e a
tutti voi mie care amiche e amici
Facevo la stessa cosa quando preparavo i miei bagagli prima di un volo aereo o il mio materiale
per un’impresa rischiosa. Applicavo lo stesso principio: essere pronti a qualsiasi evenienza!
Nei miei 40 anni di competizioni raramente ho pensato alla morte come conseguenza. Mi
sentivo invulnerabile. Adesso, incarcerato, qualche volta nel sonno ricevo la visita di una tizia con cappa
nera e falce. Per chi interpreta i sogni si tratta di un avvertimento. Per me è solo una poveraccia con
costume carnevalesco che, fuori stagione, va a disturbare i sogni della gente.
Ritornando ai colleghi infuriati (con la “doccia” in mente), decisi di intervenire per mitigare il
malcontento, dicendo loro: “Ascoltate, non ci sono solo i lati negativi, ma anche molto benefici…” e
continuando per circa cinque minuti ho notato che gli animi si erano un po’ calmati, eccetto però quello
della mia “capa”, per nulla contenta della mia interferenza, anche se a buon fine. Ero sì riuscito a
eliminare la tensione ma allo stesso tempo avevo rotto le regole, l’avevo cioè esautorata dicendo ai miei
colleghi che le sue frasi non erano del tutto “negative”.
Dopo aver congedato il gruppo, la “donna coi pantaloni” mi prese da parte e mi disse: “Faccio
questo lavoro da sempre e nessuno ha mai osato contrariarmi. Il tuo comportamento è stato
inaccettabile. Sei sospeso per cinque giorni!”. Ho preso così, per la prima volta in sei mesi, qualche
giorno di “vacanza”. Adesso sono tornato a lavorare con un po’ meno fervore e meno entusiasmo. Mi
sono reso conto ancora una volta che non vale la pena di cercare di essere d’aiuto come è nel mio
carattere. Il modo di vedere di questa gente è ristretto, programmato e ripetitivo ed è vietato variare.
Il motto del posto è “a good deed never goes unpunished” (un “fioretto” non rimane impunito).
Ne ho avuto un’altra riprova qualche giorno dopo. René, un mio collaboratore della “facility”
che insegna con me matematica (se ne va a casa in ottobre) questo venerdì decise di fare una sorpresa
alla nostra “duce”. Raccolse gli esami di valutazione espletati nel pomeriggio e, senza dirle nulla, decise
di correggerli durante il fine settimana nel suo “tempo libero” nel dormitorio. Gli ho detto: “René, ho un
cattivo presentimento. Non credo che lo apprezzerà per il solo fatto che non ti ha dato l’autorizzazione.
Non credo capirà il tuo bel gesto”. E infatti il lunedì successivo, al nostro rientro, venuta al corrente del
fatto, la “capa” ha dismesso dall’incarico René in malo modo e gli ha cambiato il lavoro! Alla faccia
dell’incredibile motto… rimango positivo. “Anche questa passerà!”, “Vattene tristezza!” (com’era la
canzone? “Tristezza, per favore va’ via…”).
Vi svelo un segreto: non ho mai presenziato ad un funerale! Quando è morta mia nonna paterna
(la mamma di mio papà e di mio zio Gianni) ero in Sicilia. Quando è morto mio padre ero in una
prigione di massima sicurezza delle Everglades.
Quanto amo la vita! Una parentesi rosa è di rito. Sono pochi a sapere che i miei tre figli sono
nati senza assistenza medica. La prima volta successe involontariamente con Savannah Sky. Ci fu un
disguido nel calcolo delle contrazioni. Risultato: Savannah è nata nel bagno di casa, così velocemente
che le sue vie respiratorie erano bloccate dal liquido amniotico e dai vari fluidi di percorso. Ovviamente
andai in grande panico, e nonostante fossi ignorante della prassi post-nascita, decisi improvvisando,
d’aspirare i fluidi accumulati coprendole naso e bocca con la mia bocca. Ho aspirato un bel po’ di liquido
senza danneggiarle i polmoni (come succede se lo si fa troppo violentemente). Dopo aver ripetuto
l’operazione un paio di volte il viso di Savannah da cianotico ed inerme si trasformò, riprese colore e
cominciò a piangere: bellissima! Il pianto e gli strilli più preziosi della mia vita. Savannah adesso ha 17
anni, anche lei donna, e anche a lei è dedicata questa lettera.
Due anni dopo è stata la volta di Jenna Bleu. In questa occasione ci recammo all’ospedale viste
le pressioni del nostro medico: “Pensate alle possibili complicazioni” ripeteva.
A sorpresa una nostra vicina ebrea ci prenotò la stessa stanza usata da Gloria Estefan (forse con
l’augurio di avere una bambina musicista) all’ospedale Mount Sinai, prediletto dalla comunità ebraica di
Miami.
Nonostante le buone intenzioni, nel momento cruciale decidemmo di ripetere l’exploit di
Savannah. Chiesi all’infermiera di turno che ci vigilava severamente (per via dei precedenti), di farci
avere un paio di asciugamani che sapevo essere situati al piano inferiore. Al suo ritorno Jenna Bleu con
le labbra protuse le diede il benvenuto… a squarciagola.
Anche lei nata super velocemente e, cosa molto rara, ancora con il sacco amniotico intatto, quasi
fosse impacchettata in un sottilissimo materiale monofilm. Ho scoperto successivamente che sia nelle
tribù dell’Amazzonia che nell’interno dell’America è considerato un segno di distinzione, per riconoscere
il futuro “Medicine man/woman” (stregone) del villaggio. Anche a lei, adesso quindicenne, dedico
questa mia.
Due anni dopo, Francesco Luce! Ormai al bando ospedali e medici liocali, decidemmo di
rimanere a casa con l’aiuto di una levatrice per eventuali complicazioni e, ancora una volta, niente
monitor, niente flebo, guanti freddi o mani sconosciute. All’arrivo di Francesco, Savannah e Jenna erano
a bocca aperta appoggiate allo stipite della porta della camera da letto, la levatrice in cucina a mangiarsi
un panino al prosciutto di Parma (!). Si rivelò comunque di grande aiuto perché Francesco aveva il
cordone ombelicale attorno al collo e poi, invece della mia spartana tecnica d’aspirazione, mi diede una
dimostrazione della cannula nel naso, mentre lo tenevo per i piedi a testa in giù. Stesso risultato,
minimo rischio.
Morale della storia, i miei tre figli, come tutti i buoni prodotti italiani, sono “fatti in casa” con
una mia piccola partecipazione e ovviamente con la parte di leonessa di mamma Heather. Pur essendomi
inevitabilmente separato, rimango con lei in buoni rapporti. Heather si è rifatta una vita mantenendo
però la mia posizione di padre nella vita dei miei figli. Per questo le sarò sempre riconoscente. Questa
lettera è dedicata anche a lei come madre e come donna!
Ecco, vi ho trasportato da un lato all’altro del pianeta Chico, senza ordine cronologico.
Avevo da recuperare dopo tanto silenzio. Ancora una volta un caloroso grazie a voi, “mie”
meravigliose donne. Grazie per essere le mie leonesse!
Per concludere in questa giornata della mamma, un saluto a tutte le mamme, inclusa la mia, la
roccia della mia vita, un esempio di dignità umana. Questa lettera è dedicata anche a lei per avermi
creato, per avermi forgiato nell’uomo che sono, per avermi insegnato a tenere la testa alta e ad essere
forte anche nelle situazioni impossibili!
Insieme ce la faremo, ne sono certo!
Alla prossima, un caldo abbraccio.
Chico