I miei 60 anni
Premetto che non vi parlerò del caso. Altri lo faranno per me. Per questo mio compleanno voglio solo regalarvi un frullato di riflessioni estemporanee. Compio 60 anni e non li sento né fisicamente né mentalmente. Ho sempre tanta voglia di vivere anche in gabbia. Nei miei 40 anni libero, ho vissuto l’università della vita. La pianta più prolifica per l’apprendimento. La clorofilla era (lo è tutt’ora) la voglia di conoscere, di esplorare, di apprendere. Non mi sono mai vergognato nel chiedere come, dove, perché quando, quanto? In giapponese è semplice…basta aggiungere il suffisso Desukai (che si pronuncia deska) alla parola indagata. Mi nutrivo d’informazioni, assimilando quanto conosciuto da esperti. Quando iniziò la moda del Cubo di Rubik, più di 40 anni fa, al Lago di San Cristoforo, la figlia di un diplomatico austriaco, sempre sotto scorta (quasi sempre…) mi insegnò le prime mosse. Lo trovai super impegnativo e applicandomi giorno e notte, appresi in un paio di settimane a risolverlo in meno di due minuti; in seguito me ne insegnò delle altre e ci misi un po’ di più…
All’ISEF impegnato in troppe attività, alcuni esami li preparavo in treno, nel tragitto Trento-Verona, con mille domande a Massimo, Nadia, Luisa, Cristina e Antonio, che avendo diligentemente studiato, mi aiutavano partecipi. Memorizzavo i concetti, e con l’aiuto di una componente di fortuna, passavo gli esami, a volte con un trenta e lode.
Quiz e rompicapi ritenuti insolvibili erano la mia passione, specialmente quando appariva qualche primo della classe a proporli. Non di rado completavo le frasi degli amici.
Viaggiando, oltre ai nomi di paesi e rispettive capitali di laghi, fiumi e montagne di ogni continente, ho appreso costumi e tradizioni e 14 lingue e dialetti. Chiedendo di ripetere le dimostrazioni, ho appreso a usare il monociclo, a fare il joggling nell’aria con tre palle da bowling, a lanciarmi con il paracadute e senza. Più l’impresa era difficile, più ne ero attratto.
Come col windsurf, dove il primo giorno ho passato ore a cercare di sollevare la vela.
I miei hobbies erano la mia fonte di sostentamento. Stunts considerati suicidi erano la mia seconda droga, la mia prima era la primordiale attrazione per l’altro sesso. (ora un po’ demodè, me ne rendo conto). Amavo la semplicità, non mi facevo problemi a essere diretto. Se la gente mi era simpatica lo esternavo senza mezzi termini, se non lo era, il mio modo di fare parlava per me.
Amavo le sensazioni molto di più delle cose materiali.
Le vere amicizie per me valevano più di Rolls e diamanti. Eppure nonostante la mia iper socialità, amavo anche i miei rari momenti di solitudine. Amavo riflettere e cercare di comprendere psicologicamente, filosoficamente e moralmente, il mio comportamento e quello della gente attorno a me. Mi veniva il mal di testa (tuttora) a cerare di capire le nostre origini. La spiegazione religiosa non mi era sufficiente, quella di Darwin invece è un po’ difficile da digerire. Pensare di avere un scimpanzé come antenato, immaginare pinne al posto di mani e piedi e branchie al collo, non è un pedigree di cui vantarsi. L’uomo utilizza meno del 15% della capacità del cervello, una parte minuta del corpo che consuma un quinto dell’energia per mantenerlo. In un futuro non troppo lontano riusciremo a trasferirne il contenuto come fosse l’hard disk di un pc. Assieme al codice genetico, formeranno lo zainetto eredità per le generazioni a venire. A mio parere, l’unico modo di essere immortali. Mi sono spesso chiesto cosa succederà quando si spegneranno le luci. Non riesco a trovare una soluzione soddisfacente. Il corpo è evidente, non lo possiamo tenere, ma anche potessimo, cosa facciamo…scegliamo la nostra annata migliore, e la indossiamo? E’ ovvio non ci saranno bisogni fisiologici, se questo è conveniente da un lato, dall’altro rimuove anche quelli generatori di endorfina. La reincarnazione ha pochi pro e tanti contro. La scelta dell’animale/insetto/pianta chi la fa? La zanzara vive solo pochi giorni, quando invece la vita della pluricentenaria tartaruga offre gli stimoli dell’osservare onde in uno stagno.
Sul soggetto religioso, per Papa Francesco, come per la Juventus, ho perso l’entusiasmo, anche se entrambi sono in voga più che mai. Mi sono inginocchiato nello scrivergli, con la speranza che oltre ad attori, magnati, atleti, musulmani, e animali in estinzione, avesse potuto dedicare 5 minuti alla mia causa. L’ho fatto con una lettera in più copie, fatta pervenire per canali diversi, cosciente che il sottobosco vaticano, a volte, per ridurre il traffico, intercetta e accartoccia. Né da lui né dai suoi preposti ho ricevuto il minimo cenno di riscontro. Deluso? Un po’…lo devo ammettere, avrei messo la mano sul fuoco su di una sua replica, diretta o indiretta che fosse. Meno male non l’ho fatto, altrimenti ora vi scriverei mancino. Magari gli riscrivo come ultimo sopravvivente della specie Chiccus Erectus, nel frattempo continuo ad ammirarlo per tante altre cause sicuramente più importanti del sottoscritto. Però, caro Francesco, le farfalle nella pancia non ci sono più!
Come mio solito vi ho portati in un viaggio pindarico senza filo logico. Ho trascritto la mia mente senza censura, col piacere di condividerla con voi, anche con chi ha la fortuna di non conoscermi.
Forse dovremo incominciare ad apprezzare noi stessi, ad amarci, piacerci confidenti, a vivere ogni giorno come non ci fosse un domani, perché il destino è imprevedibile. Non riesco a giustificare le cose orribili che capitano alle persone buone, e le cose belle che accompagnano i malvagi. Credo nel karma anche se ha tempi un po’ lunghi, come nel caso Sacco e Vanzetti.
Il Dalai Lama ha detto che la cosa più preziosa che l’uomo possiede, è una mente sana e libera.
Non possono incatenare riflessione, fantasia, e spirito, ed è per questo che continuo a vivere, libero…
Chico