Un asino per rodeo
Questa avventura ha avuto luogo nell’estate del 1985 (poco dopo… le guerre puniche!) tra la cittadina di Hood River e Dalles, nello Stato dell’Oregon.
L’Oregon è il penultimo Stato (l’ultimo è Washington) prima del confine con il Canada, sulla costa occidentale degli Stati Uniti.
Hood River è una mecca internazionale per il windsurf (un po’ come Torbole, Porto Pollo o Mondello) nella parte continentale degli USA. Le Hawaii infatti, rimangono il “non plus ultra” per l’intero anno!
Si tratta di una zona che assomiglia molto alla mia terra, il Trentino. Sovrastante il paese, il monte Hood, con la vetta coperta di neve, è una calamità per snowboard e rafting-wild.
Il rafting-wild sostituisce canoe e gommoni (costosi) con camere d’aria ad anello per non scivolare, anche se poi inevitabilmente si finisce per sbattere testa ed estremità contro le varie rocce/ostacolo del torrente, con cascate e salti di 6/7 metri.
Le piste ciclabili sono ovunque, sia per il rampichino che per la bicicletta da strada.
A differenza con il Trentino, invece di tanti laghi ci sono due fiumi (l’Hood River ed il Salmon River) che da piccoli hanno preso gli steroidi anabolizzanti.
Il gigantesco fiume Hood ha una caratteristica perfetta per la pratica del windsurf. La corrente del fiume infatti, viaggia in senso contrario alla direzione del vento. In caso di danni all’attrezzatura (albero, vela), si rimane a bagno nello stesso posto facilitando il soccorso.
Sul Lago di Garda, invece, con il vento da nord, se ti si rompe l’albero a Torbole, nel giro di un paio d’ore ti devono venire a recuperare a Malcesine (dal Trentino al Veneto). Unico grande svantaggio è che l’Hood River è una delle rotte principali per le chiatte addette al trasporto legname. I tronchi tagliati vengono trascinati al traino di queste enormi chiatte chiamate “barges”, formando un “treno marino” d’oltre un chilometro. Per rallentare in caso di emergenza (un surfista a mollo…) ci vuole oltre un chilometro di preavviso affinché la chiatta motrice possa prendere misure alternative. Se ti si rompe l’attrezzatura nella zona chiatte, l’abbandono della vela/albero è di rigore!
Nella cittadina omonima di Hood River si svolgeva una regata classica di slalom considerata tra le più importanti d’America.
Nel periodo estivo le condizioni di vento sono ideali con un vento termico costante rinforzato dall’”Effetto Venturi” (il fiume in quella zona scorre in una stretta valle).
I migliori atleti si ritrovavano a partecipare attratti anche dall’elevato montepremi: un fuoristrada Mitsubishi Pajero “nuovo di pacca”!
Quell’anno vinse un americano di nome Nevin Sayre in seguito diventato il “guru” personale dell’ex candidato democratico alla presidenza USA John Kerry (la mia solita “fortuna”… se lo avessero eletto sono certo che Nevin avrebbe mosso il mondo per farlo intervenire nel mio caso ed aiutarmi. Invece…Bush!).
L’atmosfera della regata era tipica del villaggio di surfisti: musica a tutto volume e gioventù spensierata e mezza nuda.
I cowboys locali non approvavano questo modo di vivere, preso come “mancanza di rispetto per le vecchie tradizioni”.
Inevitabilmente si scatenavano quotidianamente delle zuffe, con l’intervento della polizia locale, come nei film. Ovviamente sempre in difesa dei cowboys!
Spesso ci venivano tagliate le gomme o rotti i finestrini delle vetture e l’unico intervento delle autorità era quello di farci capire, senza mezzi termini, che non eravamo molto graditi da quelle parti.
A molti operatori locali però, tornavano utili le entrate generate dal nostro gruppo. Si rendevano conto che la comunità sportiva rappresentava dei buoni affari per la cittadina. Chiunque poteva capire che la numerosa frequentazione dei surfisti rendeva dei notevoli proventi.
In quel periodo poi, l’Oregon era in forte depressione economica e il turismo sportivo, anche se a volte fastidioso, rappresentava una buona componente per rivitalizzare l’economia locale.
Io nel mio piccolo cercavo di mediare tra le parti come meglio potevo. Facendo da paciere, invitando tutti alle nostre manifestazioni post-regata e facendo in modo che poi i cowboys ci invitassero alle loro feste.
Fu così che ci chiesero di presenziare al più importante rodeo di Dalles, a poca distanza da Hood River.
I rodei in questa parte degli Stati Uniti, sono presi in seria considerazione, un po’ come le corride in Spagna (ma totalmente incruenti). Sono però esibizioni fisicamente ad alto rischio.
Dopo esserci consultati decidemmo di accettare questo “calumet della pace” e di andare a vedere di cosa si trattava. Io però avevo un progetto in mente: “E se invece di assistere solamente tentassi di parteciparvi?”
Premetto che la doma del cavallo e dell’asino selvatico erano gli “highlights” del rodeo insieme alla cavalcata del toro.
L’asino selvatico infatti compensa l’assenza di corna con un’area di scalcio a 360 gradi ed un morso temuto anche dai più spavaldi.
Come accennato, l’idea temeraria era di partecipare al “two men team donkey ride” che tradotto alla buona equivale a “squadra di due uomini per la cavalcata dell’asino”.
Scelsi Onno Tellier, un olandese mio compagno di avventure temerarie, come protagonista e Pietro Porcella come “palo” (Pietro in seguito scrisse un bellissimo articolo su una rivista americana specializzata in windsurf, descrivendo l’avventura nei minimi dettagli!).
In realtà il team era composto da tre elementi: l’asino selvatico, una persona che lo cavalcasse (il sottoscritto) e un aiutante esterno (Onno). Il percorso era questo: partenza, cavalcata con aiuto fino al barile posto all’altro lato dell’arena e ritorno cavalcando senza aiuto. Senza sella o morso!.
Il primo problema logistico era la mancanza… dell’asino. Osservando i vari asini in attesa, mi resi conto che uno di loro era meno accudito degli altri e che il custode (a differenza degli altri che sembravano teams di meccanici di Formula Uno), era solo un ranchero un po’ annoiato.
Da lì l’idea per la prima fase del piano. Chiesi ad Onno di andare al più vicino market e di comperare una decina di carote pre-tagliate. Dopo pochi minuti Onno fu di ritorno con le carote. Ci avvicinammo, tipo commando d’intervento speciale, all’asino del team con “le pezze sul sedere”. Con un sotterfugio venne distratto il ranchero di guardia e diedi un paio di carote all’asino “furia” che al vedere le carote era diventato un po’ più… affabile!
A pochi minuti dalla chiamata nell’arena, eseguimmo la seconda fase del piano. Onno si avvicinò al ranchero/titolare/rider dicendogli, con una faccia tosta da Oscar, che gli organizzatori avevano richiesto di vederlo urgentemente. Alla sua richiesta un po’ stupita: “Are you sure is me?” (“sei sicuro che vogliano me?”) Onno con la faccia di bronzo gli rispose: “Without doubt!” (“senza dubbio”). Alla sua successiva frase: “What I gonna do with the donkey?” (“cosa faccio con l’asino?”) risposi prontamente che gli avrei badato io nel frattempo.
Come si allontanò, usando il sacchetto di carote come esca, feci entrare il “nostro” asino nell’arena insieme agli altri partecipanti.
Come venne dato l’ordine di monta (nel senso di salirci sopra… che cosa stavate pensando?!) con l’aiuto di Onno salii sulla groppa di “Furia” (così lo avevamo battezzato nel frattempo) che in quel momento incominciò a comportarsi da vero selvaggio, scalciando, mordendo, agitandosi in tutte le direzioni.
Un cowboy come starter diede il via alla competizione con un colpo di pistola. Partecipavano dodici asini imbizzarriti che non avevano la minima intenzione di raggiungere il barile preposto.
Prontamente Onno estrasse un paio di carote correndo verso il barile. Furia non se lo fece ripetere ed in un attimo ero sballottato in groppa, mantenendo la monta come potevo, ad inseguire Onno verso il barile.
Riuscimmo a far passare il barile dal lato prescritto ed Onno, non potendo più aiutarmi (le regole erano chiare: il tragitto di ritorno doveva essere fatto senza aiuto esterno) mi gettò il resto delle carote e mi disse ridendo a crepapelle “Good luck!” (“buona fortuna!”).
Mi spinsi oltre la testa di Furia facendogli vedere ed annusare una carota e riuscii in qualche modo a direzionarlo verso il traguardo. Dopo circa un quarto d’ora dalla partenza tagliai il traguardo, vincitore ed illeso.
Furia era diventato incontrollabile perché nel frattempo avevo fatto sparire le carote rimaste e chiaramente non era molto d’accordo con quella mia decisione. Quattro rancheros si occuparono dell’asino ed un cowboy a cavallo mi accompagnò nel centro dell’arena per ricevere la coppa ed un cospicuo assegno. Vedendo arrivare il titolare imbestialito (non so chi fosse più “incavolato” tra lui e Furia) insieme a Onno, immediatamente gli consegnai trofeo ed assegno. Lui, sorridendo a 64 denti, mi abbracciò come un figliol prodigo.
Onno ed io eravamo gli eroi del momento. Nell’arena c’erano più di 500 surfisti, naturalmente pre-avvertiti del piano escogitato, tutti in piedi in piena ovazione: i surfisti avevano battuto i cowboys nella loro specialità!. Incredibilmente questo fatto, invece di creare attrito, creò una specie di ammirazione da parte dei vecchi cowboys, fino ad allora molto prevenuti contro il nostro gruppo.
Al classico ballo post rodeo (proprio come nei film di John Wayne) le due comunità si mescolarono amichevolmente. I cowboys ballavano la “break dance” ed i surfisti le ballate country.
Fu una serata memorabile.
Una cosa ancora più indimenticabile accadde il giorno seguente. I locali ci accettarono benevolmente ed un po’ alla volta gli episodi vandalici contro i surfisti cessarono. Non più gomme tagliate, né multe ingiustificate.
Onno ed io, con l’aiuto di Pietro ed altri fedelissimi avevamo, con un piccolo artificio, raggiunto lo scopo preposto.
Insieme decidemmo di festeggiare con una discesa rafting rompicollo del torrente in piena. Ore di discesa tra rocce e cascate arrivando alla fine un po’ acciaccati ma con l’adrenalina alle stelle.
Pietro Porcella poi, come in un fumetto di Asterix, si mise in un angolo a scrivere questa simpatica storia ,raccontandola attraverso le molte riviste per le quali collaborava.
Sperando di avervi fatto un po’ sorridere ancora una volta, alla prossima avventura!
Un abbraccio “acciaccato”
Chico