Un episodio anomalo
“UN EPISODIO ANOMALO”
Cari amici,
sono passati due mesi dalla mia ultima lettera ed è tempo di aggiornarvi.
Sono in cella con un americano bianco di 45 anni, 30 di questi passati in gattabuia. Si chiama Alan e, per sua stessa definizione, è un “omosessuale non praticante”. Fino ad ora posso confermare (il “non praticante” chiaramente!). E’ tranquillo, intelligente. I suoi genitori sono morti entrambi tanti anni fa. Non ha aiuto economico e, quando posso, gli regalo del cibo dallo spaccio. Lui, per contraccambiare, tiene pulita la cella. Ho smesso 10 anni addietro di giudicare la gente per preferenze sessuali. Se non mi mancano di rispetto e se comprendono senza dubbio che io non viaggio in quella direzione, riesco a convivere. Alan fuma come un turco, ed io odio il fumo. Per
questo motivo le poche volte che desidera fumarsi una mezza sigaretta in cella, lo fa tenendola nella fessura della porta scorrevole. Una volta aspirato, emette il fumo nello stesso spiraglio. Il sistema funziona perché di fumo nella cella ne entra poco o nulla.
Il mio dormitorio “H” ha la forma della lettera “T”. Ci sono 3 “quads” (camerate). Ogni quad ha 22 celle al piano terra e 22 celle al primo piano. Io sono nella cella 212, l’ultima del quad 3. Due celle al piano terra sono riservate ai disabili con sedia a rotelle, che qui sono numerosi. Un totale di 86 inquilini, 8 docce (di cui solo 4 solo funzionanti). La pressione dell’acqua è inferiore a quella delle Everglades, insomma un po’ come “la pipì dei vecchietti…”!. L’ultima cella è l’ideale per evitare lo sguardo indagatore delle guardie ed è il luogo favorito per raccogliersi a fumare, quello che sia (tabacco, polverina, canna…(2 volte), ecc.). E’ anche la meta principale per le ispezioni blitz da parte del gruppo di pronto intervento e del gruppo antidroga. Inevitabilmente parcheggiano il cane davanti alla tua cella! Lo scopo di queste ispezioni a sorpresa è di scoprire contrabbando. La realtà è che solo una minima parte del traffico viene a galla.
Qui non c’è l’acqua bollente per poter cucinare una minestra liofilizzata od un caffè istantaneo. Quindi i detenuti usano carta igienica arrotolata attorno a fogli di giornale come combustibile per i loro fuochi improvvisati.
Usano lattine di coca-cola riempite di acqua sostenendole con un gancio sopra il fuoco. Il fumo di alluminio bruciato irrita non poco naso ed occhi. La zona campeggio favorita per questi fuochi è ancora antistante la mia cella.
Per questo motivo tengo la porta chiusa l’intera giornata. La finestra della cella è una grattugia metallica di 10 x 15 cm. Ancora più piccola delle Everglades. La circolazione d’aria è quasi inesistente ed in estate fa un caldo bestiale e in agosto ci sono 38 gradi costanti! La mia cella poi, essendo a contatto con la parete esterna, è un forno.
A volte non posso toccare le pareti con le mani tanto scottano! Al momento sto “trattando” per passare nella camerata 1, in una cella un po’ più vivibile! Mi ero ripromesso di non farvi soffrire con le descrizioni del posto; pertanto vi posso assicurare che questa situazione, per quanto grave, non scalfisce questa mia incallita pelle trentina.
Infatti a Trento i 38 gradi ce li mangiamo a colazione! (A Ferragosto, chiaramente!).
Dall’8 giugno, giorno del mio arrivo in questa cella, c’è stato solo un fatto degno di essere narrato. Come ricorderete, al mio arrivo sono stato privato di tutti i miei effetti personali, tra cui ciabatte, scarpe, etc. . Ho dovuto pertanto reperire al mercato nero alcuni generi di prima necessità (con prezzi da Via Montenapoleone!). Le ciabatte di plastica per la doccia e le scarpe da ginnastica per prime. Il dormitorio intanto, senza conoscermi precedentemente, mi ha catalogato come uomo bianco (“cracker” in senso spregiativo), pacifico, che sta per conto proprio ed ama leggere, scrivere e fare esercizio fisico, ma soprattutto, solitario, senza alcuna affiliazione di “ghenga”. A
dimostrazione del fatto che l’apparenza può ingannare, un co-abitante di statura gorillesca, di colore caffè, ha confuso il “pacifico” con il “codardo” e, approfittando di una mia assenza, si è introdotto nella mia cella e ha asportato le mie preziose acquisizioni, ciabatte e scarpe!. Al mio rientro, nel pomeriggio, non mi sono accorto delle mancanze e ho trascorso il pomeriggio (violando il regolamento che proibisce di passare tra una camerata e l’altra) nel quad 1.
Mentre stavo parlando con un conoscente proveniente da Everglades, si è avvicinato un “venditore ambulante” del mercato nero e, tra le altre cose, ha proposto alla gente seduta vicino a noi un paio di ciabatte come le mie per $15 (dollari), la metà di quanto avevo pagato io le mie! Ho pensato che mi avevano un po’ fregato sul prezzo.
Però dopotutto, quando ti serve qualcosa urgentemente, pochi dollari di differenza non sono gran cosa! Nel tardo pomeriggio sono rientrato nella mia camerata e alla sera, al momento della doccia, mi sono reso conto che non c’erano più le ciabatte e neppure le scarpe. Non ci voleva certo un genio per capire cosa fosse successo. Ho pazientemente aspettato fino all’ora di cena. Mentre uscivamo per andare a mangiare ho amichevolmente” intrattenuto il “venditore ambulante” e, appena rimasti soli, gli ho chiesto un po’ meno amichevolmente dove erano le mie cose. A dimostrazione d’essere un vero spartano, dopo alcuni secondi, mi ha dato nome e cognome del presunto
perpetratore. Con un po’ di stupore ho scoperto che era la stessa persona che precedentemente me le aveva vendute!
Un piano diabolicamente perfetto perché io, legalmente, non potevo comprovarne la proprietà (non essendo sulla lista delle cose che possedevo quando sono entrato!) mentre lui, in caso di disquisizione, poteva far valere i suoi diritti come legittimo proprietario. Al momento mi sono sentito un “pollo” e poi mi sono detto: “Se inizio così, nel giro di un paio di settimane mi portano via anche le mutande!”
Ricordate che vi ho detto che qui è fondamentale farsi rispettare? Come vi ho già raccontato in un’altra occasione, qui dentro una persona mite diventa subito una vittima e lo rimane per sempre, esposto alle angherie più repellenti. Quindi anche per una persona non violenta
come me è obbligatorio cercare di difendersi come può per non soccombere, anche se il rischio (dato l’ambiente e le persone ospitate) è altissimo. Ho deciso quindi di passare all’azione, aspettando “pacifico” di fronte alla cella 209, la “casa” del birbante. Al rientro dalla mensa mi sono reso conto, vedendo la sua espressione, che era stato avvisato del mio colloquio con il suo “venditore”. E’ entrato spavaldo e strafottente in compagnia di 4/5 amici della stessa stazza e colore, e come è si è trovato davanti alla sua cella, forte dei suoi muscoli e della sua “ghenga”, mi ha detto: “Sì, sono stato io. E adesso cosa vuoi fare?”
Io, un po’ accecato dalla rabbia ed incurante dei rischio, sono entrato nella sua cella e prima che potesse aprire bocca un’altra volta, l’ho steso! Un colpo solo di destro al mento, “alla trentina”, senza bisogno di tante chiacchiere. Ho poi “aperto” il suo “magazzino” (tralascio i dettagli…) e mi sono ripreso le mie cose. Nell’uscire dalla sua cella mi sono reso conto che ogni membro della sua “ghenga” era bloccato da almeno due persone (latini in maggioranza, ma anche di colore!). Mi hanno fatto spazio con qualche pacca sulla spalla dicendomi “Well done”! “Ben fatto!”. Era questo il motivo per cui i suoi amici non avevano potuto intervenire! (Ricordate che non ci sono regole in questo posto. E’ prassi comune per 2/3 persone l’assalto ad una persona sola!). James, un gigante buono di colore, indiscusso leader del dormitorio, si è avvicinato e mi ha detto: “He thought you were soft, but he was wrong!” (“Lui pensava che tu fossi un rammollito ma si è sbagliato!”
E’ da quel giorno che nessuno usa più il lucchetto nel nostro dormitorio. Non è andato smarrito nessun altro oggetto. La mattina successiva il birbante ha fatto un “check in” volontario. Cioè, per evitare l’umiliazione, si è autosottoposto al pozzo solitario di protezione personale (P.M.). E qualche settimana fa è stato trasferito. Incredibilmente un vicino di pozzo, un latino enorme di nome Geronimo, mi ha portato un suo messaggio: “Kiko, he told me to tell you that he was wrong and that you’ll not have to worry about him anymore. No retaliation!”
“Mi ha detto di dirti che si era sbagliato sul tuo conto e che non ti devi preoccupare di lui in futuro. Nessuna rappresaglia!”
Mi sono sentito sollevato perché questi “crucci” non risolti hanno risvolti pericolosi che durano anni e non hanno “limiti di zona”. In poche parole, a distanza di mesi, quando ci si è dimenticati del fatto, salta fuori un amico del “tipo” che ti assalta alle spalle mentre guardi la televisione!
Adesso sia nel dormitorio che nell’intera area dell’istituzione mi trattano con rispetto, soprattutto i latini!
Questa piccola storia per tranquillizzarvi e per farvi sapere che non dovete preoccuparvi della mia incolumità, anche se il pericolo è sempre in agguato! Io, dalla mia, rimango pacifista, però non potranno mai chiamarmi codardo!
Spero nel prossimo futuro di avere qualche aneddoto meno violento e più interessante da raccontarvi. Nel
frattempo un abbraccio all’insegna del “fate l’amore, non la guerra!”.
Vostro Chico
P.S. Vi scriverò nuovamente quando raggiungeremo i 100.000 amici!